Lo status e le opportunità di integrazione nell’Unione Europea dei cittadini dei paesi terzi dipendono in parte dalle regole degli Stati membri sull’accesso alla nazionalità, in parte dai diritti di matrice comunitaria collegati alla cittadinanza dell’Unione. Questo lavoro prende in considerazione la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) in materia di cittadinanza dell’Unione e alcune recenti riforme della legislazione sull’immigrazione e la naturalizzazione in una selezione di Stati membri, e ne analizza l’effetto sui diritti dei cittadini di paesi terzi. L’analisi proposta mette in evidenza alcune tendenze contrastanti nella giurisprudenza e nella legislazione in questione. Le sentenze della CGUE invitano gli Stati membri ad agire nel rispetto del diritto comunitario, e applicando criteri obiettivi, nel decidere sull’inclusione ed esclusione dei cittadini di paesi terzi. Inoltre, la giurisprudenza in questione riconosce alcuni diritti di residenza ai cittadini dei paesi terzi nella penombra della cittadinanza europea. Il percorso giurisprudenziale va dunque, seppure a piccoli passi, nella direzione di una nozione europea di appartenenza. La legislazione sull’immigrazione e l’accesso alla nazionalità negli Stati membri, al contrario, prevede stringenti requisiti di integrazione nella comunità nazionale e riconosce ampi margini di discrezionalità alle autorità preposte a conoscere delle domande di ammissione e naturalizzazione dei cittadini di paesi terzi. Gli Stati membri tendono a richiudersi, in altre parole, attorno alle rispettive nozioni di appartenenza. Il risultato è una dissonanza tra il ruolo dei diritti legati alla cittadinanza dell’Unione e quello delle regole in materia di cittadinanza nazionale nel definire lo status dei cittadini di paesi terzi. Alcune considerazioni conclusive invitano a ripensare le categorie dell’appartenenza in Europa, presenza, residenza, cittadinanza, come primo passo verso la riconciliazione di tale dissonanza.